Il 15 Marzo ha avuto luogo la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla che rappresenta un momento di informazione e sensibilizzazione circa i disturbi legati al comportamento alimentare.
Ma vediamo cosa sono i disturbi alimentari.
Questi disturbi esprimono attraverso il corpo delle sofferenze interne intollerabili e indicibili, qualcosa che a parole o con le emozioni sembra impossibile manifestare, dunque viene “trasferito” tutto sul corpo e sul rapporto che la persona ha con il cibo e con la propria corporeità. Il cibo assume una valenza simbolica in queste situazioni, pertanto non è solo fonte di nutrimento, ma rappresenta una sorta di mediazione con l’ambiente e diviene il centro dei pensieri delle persone che soffrono di questo tipo di disturbi.
Nell’anoressia per esempio il cibo diviene un mezzo attraverso il quale la persona assume potere e controllo su di sé e sull’ambiente circostante, fare a meno del cibo è una dimostrazione di indipendenza, come a dire: posso farcela da sola! Se riesco a controllare il cibo che ingerisco e il mio peso corporeo posso controllare anche tutto il resto! Mentre nell’ambito della bulimia o dell’obesità il cibo assume un altro significato, quello consolatorio, il cibo è usato come un modo per “riempire dei vuoti”, è più un nutrimento per la sfera emozionale che per il corpo.
In generale le persone che soffrono di un disturbo legato al cibo hanno anche una relazione peculiare con il loro corpo. Spesso attribuiscono eccessiva importanza al peso e alle forme, dando luogo spesso ad una visione distorta del loro corpo dunque lo percepiscono troppo grasso o con delle forme abnormi.
Il corpo diventa strumento di comunicazione con se stessi e con gli altri, verso la ricerca di una percezione per l’anoressia, e qualcosa di cui vergognarsi nell’obesità.
Spesso il problema di base è la difficoltà a “sentirsi”, a riconoscere i propri stati d’animo, le emozioni, le sensazioni del corpo, a dargli un nome e un’espressione. In effetti in tutti i casi c’è una difficoltà a sentire i segnali che innanzitutto dà il corpo rispetto alla sazietà, alla fame, alla nausea. C’è un problema di autoregolazione rispetto alla quantità di cibo da ingerire (o troppo o troppo poco). E’ frequente che nel momento in cui le persone affette da un disturbo alimentare decidono di aderire ad un percorso di cura, devono anche ri-abituarsi a mangiare riconoscendo i segnali di fame e sazietà e quindi regolando le dosi del cibo, naturalmente con l’aiuto di esperti.
Allo stesso modo devono imparare a sentire le proprie emozioni senta temerle per capire cosa provano e poterlo comunicare anche agli altri, di modo da non dover più utilizzare il cibo ed il corpo come mezzi di comunicazione e come strumenti con cui misurare i propri livelli di autostima o per avere un ritorno sulla propria identità personale (solitamente il magro è legato al bello, ed il grasso al fallimento, alla vergogna).
I disturbi alimentari in realtà negli ultimi anni hanno preso forma in manifestazioni molto differenti e a volte neanche riconoscibili attraverso il peso (esistono persone con disturbi alimentari “normopeso”), ma hanno dei segnali riconoscibili che si esplicano soprattutto nel rapporto con il cibo e con il corpo.
Questa è la cosa fondamentale soprattutto in un’ottica di sensibilizzazione e prevenzione: riconoscere i primi segnali, quindi delle piccole ossessioni rispetto al cibo e alle forme del corpo che gradualmente si trasformano in vere e proprie imposizioni per la persona che non permettono trasgressioni o modifiche nella percezione della propria corporeità.
Iniziare a riconoscere questi segnali in se stessi o negli altri è già un grande passo verso la presa di coscienza di questi disturbi che frequentemente vengono trascurati o negati fino al momento in cui le condizioni sia fisiche che psicologiche sono ormai molto gravi.

Caterina Laini
Psicologa psicoterapeuta e Psicoanalista di gruppo IIPG. Consulente presso l’ Ospedale Niguarda di Milano per la riabilitazione di pazienti psichiatrici, svolge attività di prevenzione e cura nell’ambito del gioco d’azzardo patologico.